Un motivo di gioia e uno di rammarico. Partiamo con il primo.
Già da qualche anno ho avuto modo di valorizzare la figura di Cristina di Belgioioso, sia con editoriali, che con conferenze e anche qualche proposta, come quella di dedicarle una nave della Marina Militare a uso di ospedale (proposta che è stata accolta e rilanciata anche da autorevoli esponenti della stessa Marina). Cristina Trivulzio, principessa di Belgioioso, milanese, donna ricchissima, bella, colta e brillante, fu protagonista sia dei migliori salotti politico-culturali di Parigi sia della resistenza della neonata Repubblica romana contro gli austriaci. Iscritta alla Carboneria e sostenitrice della parità dei sessi in un periodo in cui le donne erano tenute ben poco di conto, fu una coraggiosa riformatrice sociale: aprì asili per gli orfani e scuole elementari per entrambi i sessi, fece studiare i figli dei contadini e organizzò nel suo feudo un sistema di mensa e di assistenza sanitaria. Nacque privilegiata, ma la tirannia asburgica la proscrisse e più volte le sequestrò il patrimonio. Viaggiò, più da esule che da turista, e trascorse anche molto tempo in Oriente. Fondò giornali, scrisse libri ed editoriali in cui non ebbe pietà di nessuno, come Garibaldi radunò volontari e li imbarcò alla volta dei punti nevralgici della resistenza, e creò un esercito di crocerossine ante litteram per la cura dei feriti. Insomma, Cristina di Belgioioso fu davvero la prima donna di quella proto nazione che sarebbe diventata l’Italia.
Scrivevo nel 2016: “Come mai perfino a Istanbul hanno pensato bene di dedicarle una via e in Italia non c’è traccia del suo nome né fra i toponimi né fra le pagine dei testi scolastici?”. Finalmente, a distanza di cinque anni, Milano ha dedicato alla nostra un monumento: Cristina di Belgioioso vanta quindi un altro primato, quello di essere la prima donna a cui la città meneghina dedica una statua.
Veniamo al motivo di rammarico.
Nei giorni scorsi si è tenuto un incontro organizzato per presentare e sostenere le donne candidate al Comune e ai Municipi di Roma, fra cui figura anche Flavia Sagnelli, Coordinatrice INDAC Lazio (in foto).
Sotto il post che documentava con foto e video l’evento si è venuta a creare un’orrida cortina di commenti (in foto solo una minima parte) il cui contenuto non solo è disgustoso ma anche profondamente ingiusto, in quanto è manifesto il garbo e l’eleganza nel comportamento delle candidate (cosa rara nella politica spesso urlata e becera): segno quindi che i bulli da tastiera sfogano la rabbia sociale e la sfiducia nella politica su quella che ritengono la berlina più facile (e fragile), ovvero donne intraprendenti che mettono in campo la volontà dell’impegno civico. È necessario fare scudo attorno a Flavia e alle altre candidate di tutta Italia,
indipendentemente dallo schieramento politico scelto, perché una maggiore componente femminile nella rappresentanza politica comporta anche un maggiore equilibrio sociale e quindi maggiore giustizia - parola anch’essa femminile, e qualcosa vorrà pur dire -.
Esprimo la mia solidarietà a Flavia, come coordinatrice nazionale INDAC e come sodale di impegno civico, in qualunque modo e sotto qualsiasi sigla accettata dalla Costituzione si manifesti: alle donne come Cristina (che pure soffrì i meccanismi della macchina del fango pre social) la missione ardua di aprire il varco, a noi quello di proseguire verso la maggiore equità di un mondo migliore.
Rosa Colucci
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